Escursione Mont Forciaz – Bonne, Valgrisenche

“Gira dentro, verso il colle …” non si contano le frasi prive di grammatica mentre fluisce il colloquio con il socio di gita. Michael, il cane, lui non cambia mai: ha la capacità di abbaiare sempre nello stesso modo, modulando diversamente solo quando le circostanze lo richiedono. La sua fortuna è, al tempo stesso, il suo grosso limite che lo blocca al primordiale bau. Ed è il suo moto di eterno peregrino, fatto del triplo della strada che ci concediamo noi umani, che sottolinea la forza dell’ambiente dove viviamo le nostre piccole imprese, è la varianza al suo elementare linguaggio.

Noi, persone incredibilmente fortunate, trasciniamo per ore gli sci impellati, con cadenze regolari e via via scemanti, regolando il nostro orologio con sbuffi e battiti cardiaci amplificati dal silenzio. Il procedere lento e cauto porta a destinazione, anche quando le circostanze tagliano maledettamente a metà la giornata. Via le pelli: è ora di scendere. Le gambe già intaccate dalla salita trasformano la sofferenza in gioia. Oddio, non sempre è così; conosciamo bene le giornate dove è più bella la salita della discesa. Paradossi.

L’immagine è quella di una distesa di carta. Il randonneur usa lo sci come strumento di scrittura. Scrive le sue pagine in modo delebile sulla montagna. Qualcun’altro lo potrà rifare, però, in quella giornata, la carta è tutta sua. La salita è l’ABC, la confidenza, la brutta copia. Queste linee così elementari, rette con angoli precisi, sicuri, degni di un disegno infantile, sono incapaci di infondere emozioni e sono quasi un offesa alle geometrie irregolari dei profili. La razionalità di queste linee toglie poesia, ordinando gli sforzi per raggiungere il risultato prefissato. Non c’è armonia in questi angoli di venti, trenta gradi, avulsi dalle rotondità di una sella o così lontani dalla caotica perfezione frattale di taglienti creste.

La minuta deve ora trasformarsi: in condizioni ideali lo sci-alpinista reinventa il suo recente passato. Riprende il racconto, ne smussa i fastidiosi angoli e lo riscrive come meglio sa. Un popolo di scrittori dall’inchiostro invisibile, vite intere a raccontare di curve, di nevi freschissime e di nevi impossibili, fogli da stracciare via, altri da cullare nel limbo dei grandi ricordi. Non venitemi a raccontare che non vi siete mai girati compiaciuti delle vostre opere d’arte. Pagine molto più intense di coloro che hanno barato usando l’elicottero. Loro non hanno potuto fare la brutta copia, devono redigere il tema direttamente sul foglio protocollo. La loro “fortuna” è solo avida cecità.

In Valgrisenche l’eliski è un’istituzione, lo sanno tutti i randonneurs. E’ il paradiso violato da tutti i difetti di questa aberrante disciplina. La rivincita che viviamo esplode in quei giorni durante i quali i bastardi non decollano. Riscriviamo le nostre pagine in grandissima tranquillità, raccogliendo i pensieri schizzati fuori dall’accelerazione cardiaca senza l’aggressione di un rotore improvviso. Momenti imperdibili, troppo spesso deturpati da poveretti che insistono con l’urbanizzare la montagna. Sono figli di un dio di serie C, che non ha dato loro il dono di riuscire a comprendere il valore dell’antica simbiosi del silenzio-uomo-elementi. Ma non vorrei infierire oltre, d’altra parte non mi interessano gli sport minori.

In località Bonne, la capitale dello sci-alpinismo valdostano, attraversare la diga di Beauregard per portarsi sul lato orografico destro della Valgrisenche. Proseguire a mezza costa lungo la strada fino ad oltrepassare una galleria posta a circa un chilometro dalla diga. Poco dopo una deviazione per località Rochere invita ad una dolce salita. Occorre seguire il tracciato dell’interpoderale fino alle evidenti segnalazioni che indicano la deviazione per il rifugio privato dell’Epee, nel vallone del Bouc. Incomincia ora una lunghissima traversata per superare lo spartiacque che separa il vallone di Pra Longet dal Bouc, seguendo la falsariga dell’Alta Via 2 estiva: è un riferimento solo cartografico. In realtà la neve copre qualsiasi segnavia.

Prendendo lentamente quota ci si avvicina al pianoro che porta al rifugio, nascosto al di sotto di un gibbone roccioso. Raggiungerlo assaporando la bellezza delle improvvise spianate: il vallone del Bouc è un luogo fantastico, ed è gradevole alla vista ovunque ti guardi intorno. Proseguendo a monte del rifugio, attraversare il letto del torrente e portarsi in corrispondenza del primo evidente vallone sulla destra, pieno sud-est. La storia ora si fa micidiale, per via delle notevoli pendenze di questo tratto. Tutto esposto a nord, qui la neve è di fattura eccellente: freschissima. Sotto i nostri piedi c’è il piccolo ghiacciaio di Lepere, superato il quale si giunge ad una sella, compresa tra “quota 3.185” ed il contrafforte che regge la cresta Forciaz – Rabuigne. Peccato che lo sguardo sul suo bellissimo versante sciabile sia venuto meno affrontando il ghiacciaio di Lepère.

Superata la sella entriamo in un piccolo pianoro ristoratore, incastonato tra la cresta O della Forciaz ed una lama anonima alquanto spettacolare sulla destra. Si riprende a salire su nuove pendenze consistenti come fossimo dentro ad una grande canale di un tetto, sospesi su un salto di roccia verticale sopra la conca enorme dell’Invergnan. Non ci si rende conto di essere sull’orlo di un baratro perchè la spondina rialzata in direzione sud preclude lo sguardo in basso.Ancora un diagonale in direzione E pieno (esposizione SO) per raggiungere la ben visibile sella sotto il dente aguzzo della Forciaz. Qui, a 30 metri di dislivello, si interrompe la nostra gita: eravamo sprovvisti di ramponi per superare l’ultimo tratto. Gli appoggi finali sono abbastanza infidi, nonostante la pacifica apparenza del pendio. In poco più di un quarto d’ora siamo passati dal nord pieno ad un SO poco raccomandabile. La salita fino all’anticima è comunque abbastanza sicura.

Gita splendida, su terreni ora ripidi, ora ripidissimi, su pendii più tranquilli e su lunghi diagonali. Inutile raccomandare l’attenta valutazione dello strato nevoso nel tratto del Lepère. Questa gita è propedeutica per l’impressionante Rabuigne, alla quale occorre aggiungere un’ora in più, anche se sarebbe consigliabile il pernottamento all’Epeè. A meno che non siate figli di un dio minore … sto scherzando! Ah, un’ultima precisazione per gli eroi dell’eliski: non prendetevela per l’aggettivo “bastardi”; in realtà, di voi, penso ben di peggio.

Info per il Mont Forciaz

Altitudine: 3.241 m.
Quota partenza: 1.800 m.
Dislivello totale: 1.441 m.
Località di Partenza: Bonne, Valgrisenche
Tempo salita: 5 ore e 30 minuti
Difficoltà sci-alpinistiche: BS
Esposizione: O+NO+N+SO
Mappa: IGC foglio 102, Valgrisenche, Val di Rhêmes, Valsavarenche – Scala 1:25.000

Appoggio: Rifugio Chalet de l’Epée, 0165-97215, 60 posti. Invernale: 8 posti.

Accesso automobilistico

Autostrada: uscita casello AOSTA OVEST, immettersi sulla statale n. 26 fino ad Arvier.

Ad Arvier, imboccare la Strada Regionale della Valgrisenche. Percorrerla fino oltre il paesino di Valgrisenche, proseguendo per la località Bonne. Appena prima di giungere a Bonne, seguire in direzione della diga, sopra la quale c’è una strada transitabile. Terminato l’attraversamento, parcheggiare l’auto.
Per giungere all’accesso vero e proprio della gita, proseguire in piano lungo la strada che cinge la destra orografica del lago, fino oltre ad una galleria, per circa un chilometro. Salire lungo l’interpoderale per la Rochere.