Escursione Mont Gelé – Ruz, Dzovennoz

Il racconto di una ordinaria giornata al Mont Gelè incomincia dal nastro buio dell’autostrada, percorsa in quei momenti durante i quali il mattino è ancora ben avvolto nella notte. Il radio giornale scorre meccanico, passando inascoltato, come un punto di riferimento necessario all’orientamento temporaneo. Arrivare ad Aosta è come attraversare il corridoio della propria casa al buio: sappiamo dove sono le cose anche senza vederle … tutto scorre automaticamente. Il pensiero è già focalizzato sull’obiettivo di giornata. Il mirino punta su Rûz, a monte di Dzovennoz, e occorre soltanto badare alle volpi che attraversano la strada ed a non meglio identificati ungulati (femmine di cervo, ma data l’ora non prometto lucidità) che passeggiano beatamente dietro le curve cieche della Valpelline. La giornata è perfetta, non fosse altro per l’unica nuvola presente, con precisione chirurgica, sopra Dzovennoz. Sono le 5 e 50 di mattino e continua ad essere buio pesto, oltre che nebbioso come solo una risaia a novembre può esserlo.

Non conosco nulla di questo posto e non ho una lampada frontale. Aspetto un minimo di luce naturale che arriva un’ora più tardi. Partenza dopo un breve pisolo supplementare in auto. La salita verso il Rifugio Crête Séche incomincia lungo l’interpoderale, alternando i tratti dolci della strada a rabbiose rimonte del vecchio sentiero. Gli ultimi due terzi di questa prima tappa, si percorrono con il sentiero che sale ripido lungo una spalla, in linea retta verso il rifugio, non visibile, posto a monte dei paravalanghe. Emergendo dal bosco, dopo che la salita ha permesso di guadagnare rapidamente quota, appare il pennone antistante l’edificio e, a destra, il pigro sviluppo dell’interpoderale. Chi è salito in macchina fino alla frazione Berrier, oppure ha preferito le comode pendenze della strada bianca, deve percorrere un traverso che si innesta pochi metri prima del Crête Séche.

In poco più di un’ora arrivo al bellissimo e confortevole rifugio. Il sole ha da poco superato la barriera capitanata dal triangolo regolare della Becca di Luseney, ed irradia luce bluastra lungo il fondovalle. Il colpo d’occhio è appagante e lascia senza fiato … no, stavolta la concausa è anche la salita lungo la scorciatoia. Al rifugio comodo rifornimento idrico, quindi riprendo la marcia in direzione del bivacco Spataro. Dopo alcune centinaia di metri l’erba sparisce, ed il sentiero prosegue lungo sfasciumi ai piedi del Mont de Crête Séche. Lascio lo Spataro un centinaio di metri alla mia sinistra e proseguo lungo il Plan de la Sabbla, frammento di Sinai in Val d’Aosta.

La Tersiva? Ho le prime allucinazioni da quota? Lontano, in posizione complementare a quella in cui mi trovo, un triangolo roccioso ed innevato ricorda la remota punta. La marcia riprende lungo il terreno irregolare, seguendo i radi tratti gialli che permettono di superare le secche del corso d’acqua. La retta via si raggiunge attraversando in diagonale il Plan de la Sabbla: la traccia più importante, quella per proseguire verso il vallone detritico che introduce al Col del Gelè, si trova nell’immediata vicinanza del torrente immissario. A mio modesto avviso, il modo più semplice per ritrovare il cammino giusto è quello di portarsi immediatamente a sinistra del pianoro, marciando a fianco del torrente (o ciò che ne resta a stagione inoltrata). Così facendo si raggiungono inevitabilmente le tracce gialle e gli ometti dalla parte opposta del piano.

Dopo il Plan de la Sabbla, il sentiero prosegue in direzione NO, virando progressivamente verso un vallone con un passaggio evidenziato da una strozzatura tra due rocce. Man mano che si procede le pendenze crescono e la marcia si fa più difficoltosa, vuoi anche perchè il terreno presenta appoggi sempre più piccini e friabili. Il tratto più complicato è il superamento del salto roccioso, immediatamente a fianco della piccola cascatella. Quindici minuti assolutamente duri, che portano ad un secondo pianoro, sempre detritico, chiuso ad occidente dal crinale, che è poi il Colle del Mont Gelè. Le prime propaggini di ghiacciaio compaiono alla sinistra, ai piedi del contrafforte nord della catena dei Morion, rappresentata dall’austera Becca di Faudery. Il colle del Mont Gelè segna quota 3.160 m. e viene raggiunto pestando nevai e gli scarni resti del ghiacciaio.

Arrivo al colle. Un momento per riprendere coscienza… L’ampio ghiacciaio, esposto a meridione, presenta una notevole crepacciata centrale, lasciando all’escursionista il lato destro a ridosso della dorsale appena risalita. Il percorso riprende, quindi, con un ampio semicerchio ed una secca rimonta proprio ai piedi del Mont de la Balme, per quietarsi nel tratto che passa quasi parallelo alla cresta spartiacque. Dal colle finalmente il panorama incomincia a respirare anche verso occidente. Monte Bianco e Velan trionfano sulle montagne di confine. In basso la Conca di By regala un tocco di verde dopo che lo sguardo si era assuefatto al grigiore della Sabbla. Grandiosa è l’angolazione sul ghiacciaio d’Otemma, piena Svizzera, con il cappello di punte per me tutte da scoprire. E’ la prima volta che mi guardo attorno e che non conosco almeno la metà delle punte. Rimandato a settembre!

Calzo i ramponi, c’è neve fresca molto scivolosa. Il recente maltempo ha imbiancato perfettamente il ghiacciaio, i versanti settentrionali dei Morion: con la tinteggiatura fresca il Mont Gelè presenta un colpo d’occhio ancora più sontuoso. La marcia riprende in direzione del Mont de la Balme, nei pressi del cui colle piega in direzione NO. Segue un lungo traverso in falso piano, che accompagna la marcia disegnando un asintoto in direzione della vetta. Giunti nei pressi di quest’ultima, occorre dribblare la crepaccia terminale. La nevicata copiosa dei giorni scorsi l’ha completamente ricoperta. Teoricamente il modo migliore per arrivare alla croce è procedere diagonalmente, anticipando la virata verso lo spartiacque, badando a raggiungere le prime roccette affioranti. Da qui proseguire sul filo della ripida balza rocciosa, ben protetta e mai esposta, fino al pulpito sommitale.

Inutile rimarcare la grandiosità dell’ambiente dalla sommità del Gelè. C’è anche una bella cornice di neve che impedisce la sbirciata sulla parete Nord, autentica copia in scala ridotta delle vie di misto che hanno fatto la storia dell’alpinismo. Dopo essere rimasto nascosto dalle dorsali del Gelè, prorompente emerge il Grand Combin con il suo complesso circondario fatto di ghiaccio. Inedita ai miei occhi, dicevo prima, tutta la parte di Svizzera, dal lago di Mauvoisin, al gruppo dell’Arolla, tutta la catena che domina il maestoso ghiacciaio di Otemma. Il Monte Rosa ed il Cervino sono quasi una banalità di fronte a cotante gemme fresche di giornata. L’Epicoun ed il suo sottogruppo (Nodo della Rayette, Becca Chardoney e Monte Cervo), tutte le altre montagne che contornano la Valpelline, la catena del Morion, vista di profilo, i laghi ai loro piedi, zona bivacco Regondi-Gavazzi, tutto il resto della Val d’Aosta … c’è da passare una buona mezz’ora, grazie anche alla giornata ben ventilata e pulita.

L’alternativa alla salita dal versante di Crête Séche è la classicissima dal bivacco Regondi-Gavazzi, partendo da Glassier, Ollomont. Ma questa è un’altra storia, costellata da paesaggi più “romantici”: laghetti, conche erbose, che racconterò in futuro o che, magari, mi godrò con gli sci in primavera. A parte i poco interessanti excursus privati, questa nota ha il solo scopo di ricordare questa possibilità ai pochi che non lo sapessero ancora. I libri-bibbia* hanno tutte le informazioni che volete, oltre alla possibilità di interpellare il “Re della Conca di By”** per ulteriori dettagli e delucidazioni.

*confronta: bibliografia (consigliato lo splendido volume Valle d’Aosta oltre il sentiero)
** confronta: La conca di By

Chiudo con la mia solita chiosa: salire al Mont Gelè da Crête Séche è una vera avventura, dato che, in pratica, oltre il bivacco Spataro regna solo la natura incontaminata. Qualche traccia gialla, ometti a volontà e la croce di vetta fanno parte delle “alterazioni umane”. Dal rifugio in su la gita si svolge in ambiente desertico, selvaggio ed altamente solitario. Data la durezza dell’escursione il Mont Gelè non presenta code di escursionisti al suo approccio. Quindi è adatto a chi cerca qualcosa di particolarmente appagante e un po’ fuori dalle rotte ordinarie. Prestare attenzione alla crepaccia terminale, soprattutto dopo le nevicate. Per il resto preparatevi a lavorare di garretti quando riattraverserete la zona di sfasciumi, in particolare il ripido canalino sassoso che riporta al Plan de la Sabbla: non credo di ricevere smentite affermando che il tratto più duro, in entrambi i sensi, è quello compreso tra il piano citato ed il Col del Mont Gelè.
Come chiudere il racconto? Il Mont Gelè è un 5 stelle dell’escursionismo: imperdibile.

Info per il Mont Gelé (via Crête Séches)

Altitudine: 3.519 m.
Quota partenza: 1.697 m.
Dislivello totale: 1.822 m.
Località di Partenza: Ruz, Dzovennoz (Bionaz), Valpelline.
Tempo totale: 5 ore e 30 min. / 6 ore.
Difficoltà escursionistiche: F
Esposizione: prevalentemente E, poi SE sul ghiacciaio.
Mappa: IGC foglio 115 – La Valpelline, Valle di Ollomont, Valle di Saint Barthelemy, scala 1:30.000

Appoggio: Rifugio Crête Séche, gestito dal CAI di Aosta. Quota 2.410 m., 88 posti letto, invernale 8 posti. Telefono 0165/730030.
Bivacco Spataro, 9 posti, quota 2.600 m. (molto meglio il pernottamento al rifugio!)

Accesso automobilistico

Autostrada: uscita casello AOSTA EST, seguire le indicazioni per il Tunnel del Gran San Bernardo. Dopo la seconda galleria, svoltare per la Valpelline.

Imboccata la S.R. della Valpelline, giungere fino all’abitato di Dzovennoz, quindi svoltare a sinistra in direzione Ruz (seguire le indicazioni su cartello in legno per il Rifugio di Crêtes Séches). Lasciare l’auto all’altezza del segnale di divieto d’accesso.